"In Rebus" di Lara Lorenzini

"In Rebus" di Lara Lorenzini

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La poetica di Lara Lorenzini si fonda, da un punto di vista formale, sull’uso ricorrente di termini colti, dalla dotta dizione, talora desueti quali: giuoco, bruire, cuna, tepe, disparire... Assai ben più lunga potrebbe essere la lista di questa sorta di catalogazione se il computo fosse eseguito con metodo analitico, giacché – nel citato caso – ci si è soffermati solo sul testo “Maternità”, qui preso a titolo esemplificativo ritenendo l’uno caso valido ad assorbire le peculiarità dei residui testi. L’eccesso di arcaismi, o anche solo di ricercatezza linguistica pare, in vero, non tanto un mero vezzo o abbellimento decorativo, ma si integra con la necessità di rinvenire un luogo di origine che è il vero incubatore di questa autentica espressività poetica. La parola è un reperto risalente la memoria gestante del grembo poetico, come la caldera di un vulcano dalla quale – sin dalle profondità – rinviene la geologia più remota dell’essere. La poesia è vero e proprio strumento d’indagine, di ricerca, scavata al fondo di sé, uno spazio d’esistenza dell’uomo in quanto tale; da questo movente – come nella raffigurazione degli archeologi di De Chirico – si esalta il ritrovamento di fondamenti spirituali disseppelliti e riportati in emersione, su cui risplende la luce di una nuova esistenza che albeggia sul filo di ciascun verso per immagini, evocazione o rammemorazione, talora per sottesa e solo implicita dizione. Si deve dunque pensare, tenuto conto di tale interpretazione che la parola, così remota nella veste formale, abbia invece elementi di estrema modernità, nel tentativo di riattualizzare una storia ed una cronologia di eventi che non sono solo della successione biografica ma è propensione al futuro, una reale attitudine alla vita, nuova genesi, una capacità di rigenerazione evolutiva dell’animo che cerca nuova esistenza, altra sembianza, un nuovo modo e volto d’essere. Così la poetica di Lara Lorenzini appare disseminata di varchi, fessure, aperture sul mondo da cui filtra – in entrata ed uscita – la carovana interminabile dei ricordi e visioni che – come schegge o tempeste celesti – liberano materia spaziale nell’universo del nostro esistere. Numerosi sono questi avamposti, i punti di osservazione, le finestre, gli sguardi a strapiombo sull’universo: (…) mi pare talvolta sentire Il tuo istante d’incanto. Era ieri, s’apriva il mattino sull’acque smeralde, figure scendevano lente alla riva. Il mattino è una quarta dimensione, un fondale sulla scena del quotidiano e s’apre come un sipario sul proscenio, spalanca la visione degli occhi al mondo, alle acque smeralde, all’andirivieni di profili umani che vanno e vengono dal mondo, che entrano ed escono nella vita o altro da sé. Sottile è - qui come in altri passi – la differenza fra il senso letterale o simbolico ed allusivo dei versi, in entrambi i casi è comunque consentita, almeno suscitata, un doppia lettura logica ed emotiva di notevole suggestione ed impatto. La realtà materiale, gli elementi materici, il gravame di fatti e cose sulla scena del quotidiano accadere hanno sempre un riverbero profondo della persona dell’autore, un Suo riflesso radicale e corrispondente. Vi è un doppio binario, un doppio filo in questo dialogo la cui voce ritorna con i suoi accenti a rifarsi viva negli echi e nei parallelismi simbolico-allegorici: Le tue ore sono petali pallidi che cadono nel Tempo, si posano (…) Il sottotesto di questi due versi ci suggerisce la metafora della similitudine che paragona le ore ai petali (“Le tue ore sono come petali pallidi”); non vi è tuttavia un ricorso banale e semplice all’uso di stilemi ma con maggiore forza la parola.

L'autrice

Lara Lorenzini è nata nel 1974 in un piccolo borgo della campagna padana. Dell’infanzia ama ricordare il canto nel coro parrocchiale, lo studio del pianoforte e della lingua Latina, i primi scritti e il piacere della parola, i ghiaccioli d’estate, il fiume. La Maturità Classica e lo studio della Filosofia chiudono la formazione scolastica.

 

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